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Teatro Garibaldi

Nel cuore della città, lungo Corso Garibaldi, i turisti che si trovano a Modica non possono trascurare di fare una visita al Teatro Garibaldi. Il teatro, nella fisionomia attuale, fu progettato e realizzato intorno alla metà dell’Ottocento secondo moduli neoclassici molto sobri ed essenziali in facciata. Il teatro venne inaugurato nel 1857 con La Traviata e, nei decenni successivi, si realizzarono le decorazioni della sala e del foyer.

Il Teatro Garibaldi fu uno dei centri della vita culturale modicana, e non solo, fino agli anni ’40 del Novecento quando la gestione passò in mano a privati subendo pesanti trasformazioni. Da questo momento in poi si assiste a un lento degrado fino alla chiusura avvenuta nel 1984, al temine di una parabola discendente che lo aveva trasformato da tempio della prosa e della lirica (il quarto dopo i teatri di Palermo, Messina e Catania) a cinematografo di quart’ordine.

Dopo un restauro durato sei anni e per volontà della precedente Amministrazione Comunale il Teatro riaprì i battenti il 13 giugno 2000, in controtendenza rispetto a quello che, purtroppo, sempre più spesso avviene. La volontà di riappropriarsi di uno strumento indispensabile per lo sviluppo culturale di una comunità. Non solo, con una grande apertura culturale, l’Amministrazione di allora diventa committente di una importante opera d’arte che diventerà parte integrante del teatro. Un olio su tela in forma di tondo del diametro di 440 cm da sistemare nella volta della sala. L’incarico viene affidato a Piero Guccione, uno dei più importanti artisti del panorama italiano ed europeo, a Franco Sarnari, Giuseppe Colombo e Piero Roccasalva, sui bozzetti realizzati dallo stesso Piero Guccione.

Per quanto riguarda la decorazione interna, sulla base di una traccia che era rimasta, Giorgio Modica sviluppò le fasce delle balaustre mentre dipinse ex novo la volta con i ritratti di Verdi, Bellini, Behethoven, Mozart e il foyer proponendo motivi decorativi di fine Ottocento. In tale contesto si inserì il tondo affidato a Guccione che richiederà la collaborazione di Franco Sarnari, Piero Roccasalva e Giuseppe Colombo.

L’opera verrà realizzata tra l’agosto e il settembre del 1999. Guccione prima di scegliere la soluzione definitiva elabora dieci bozzetti. L’immagine che verrà scelta è quella dei bozzetti che vedono protagonista la facciata della Chiesa di San Giorgio illuminata di gialli e ocra in cima alla scalinata in ombra. Il punto di vista è sotto insù, un espediente che proietta la facciata in piena luce, stagliandola sul cielo azzurro tra i Palazzi Polara e Tommasi-Rosso, mentre la scalinata ha uno spazio che viene amplificato da una leggera convessità e accoglie vari personaggi che esistevano anche nei bozzetti preparatori.

Chi sono i personaggi che vengono scelti tra quelli di fantasia e quelli d’apres che avevano, in precedenza, animato i disegni preparatori?

La stesura definitiva vede, in primo piano, il Don Giovanni di Mozart, con un gesto da baritono, che ha come punto di riferimento iconografico la scultura dedicata al benefattore della città di Scicli, Pietro di Lorenzo Busacca, del Civiletti posta nella Piazza omonima di Scicli e con il volto del più giovane degli artisti coinvolti nella grande opera: il modicano Giuseppe Colombo. Sempre in primo piano, accovacciato, Machbeth, in omaggio a Verdi, dipinto in un atteggiamento pensoso affiancato da un teschio: una posa ripresa dall’Eraclito raffigurato nella Scuola di Atene di Raffaello. In secondo piano Norma, in azzurro; il Messia, un omaggio a Hendel; un personaggio vestito di giallo che sale le scale (il colore che allude alla solarità della città di Modica) e la cui iconografia è recuperata da un altro personaggio della Scuola di Atene e che si trova alla destra di Diogene. Sulla sinistra il gruppo di Rinaldo e Armida stretti in un abbraccio sensuale, un omaggio a Gluck e con un recupero iconografico da GiovanBattista Tiepolo (il maestro degli grandi spazi infiniti e scenografici). In terzo piano un d’apres del Bacio di Francesco Hayez che allude al Tristano e Isotta di Wagner vicino al Mosè, omaggio a Rossini ma che non ha riscontri iconografici espliciti. Poco più in alto si individuano un gruppo di personaggi tratti dalla Decollazione del Battista, capolavoro assoluto del Caravaggio. Chiudono la scena due figuranti e i Giovani Ignudi, d’apres da uno dei più famosi tondi in assoluto: il Tondo Doni di Michelangelo.

Lungo la scalinata una colomba, dei fiori rossi di ibiscus, tra gatti e una lucertola. Quale senso si può dare, oggi, a un’opera alla quale hanno lavorato contemporaneamente quattro artisti? Si potrebbe anche rispondere che, seppur per un breve lasso di tempo, è stato rimesso in piedi un cantiere rinascimentale (i rimandi ai grandi maestri, d’altronde, sono molti), per un dipinto che si lega direttamente ai bozzetti di Piero Guccione ma che è anche frutto di invenzione di ogni singolo artista nella cura di un personaggio o di un dettaglio. L’opera, facendo perno sull’evocazione di uno spazio scenico, diventa una summa di esperienze visive, letterarie e musicali della cultura europea.

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