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La Fiumara

Un altro sito di fondamentale importanza per la ricerca archeologica è stata la Fiumara di Modica: una striscia di terra larga quattro-cinquecento metri che si allunga dalla periferia sud-ovest della città raggiungendo la città di Scicli e percorrendo la vallata per circa sette chilometri.

Il Torrente Mothicano che scorre e ha il suo sito lungo la vallata è stato, nei secoli, teatro di numerose alluvioni delle quali la più grave è forse quella del 26 settembre 1902 nella quale persero la vita 111 persone. Si tratta di una semplice striscia di terra che rimane a testimonianza di civiltà oggi scomparse, teatro di storia e di fondamentale importanza economica per il territorio modicano.

Nel 1898, l’archeologo Paolo Orsi trovò nel bassopiano delle lastre con delle epigrafi in greco ma risalenti ad età tardo romana. Lungo il corso della Fiumara sono visibili, inoltre, in posizione elevata e inaccessibile, un cospicuo gruppo di grotte. Internamente la loro forma è circolare o ellittica e occupano uno spazio che va da uno a due metri quadrati. Risalgono quasi tutte all’età del bronzo antico. Alla fine del secolo al Mulino del Salto o Stazione del Salto accanto all’omonima grotta venne ritrovato un ripostiglio di bronzi arcaici, uno tra i più antichi dell’isola: asce, spade, un coltello, sei fibule, un rasoio e altro (quanti erano in chilogrammi i bronzi ritrovati?) Il tesoro di bronzi si trova attualmente al Museo Pigorini di Roma.

Pochi conoscono le Grotte del Ddieri o Timpa Ddieri e sanno che sono altrettanto belle delle grotte di Cava D’Ispica ma purtroppo quasi completamente inaccessibili. Sorgono a 3 Km dalla città sempre lungo il torrente Mothycano all’incrocio con il torrente proveniente dalla Caitina.

Gli Arabi si impossessarono di questa grotte nell’844-45 quando sottomisero le popolazioni locali. Il nome di Mothyca fu mutato Mudiqah (gola strettoia, riferito alle due profonde valli dove scorrono i due torrenti della città). Il nome delle Grotte del Ddieri potrebbe anch’esso derivare dall’arabo Dar (casa) che al plurale è Diyar. Furono, nel corso dei secoli, insediamenti siculi, vennero adibite a tombe, furono abitazioni rupestri nell’Alto Medioevo. Hanno una pianta circolare, ellittica o di forma irregolare. Sicuramente l’ambiente più importante è quello chiamato Chiesa del Ddieri, un ipogeo funebre tardo romano di circa 50 mq, poi trasformato, con l’avvento dei Normanni in chiesa cristiana.

Secondo gli archeologi vi si svolse un culto cristiano di rito orientale, vi si trovano, scavate nella roccia quattro tombe di cui una sicuramente adibita a fonte battesimale.

L’origine degli orti a terrazzo che, tutt’oggi, caratterizzano l’aspetto della Fiumara si perde nel tempo e risale a quando gli Arabi invasero la parte sud-orientale della Sicilia. Dalla seconda metà dell’Ottocento d.C. la Fiumara, così come altre zone del territorio provinciale e regionale, subì l’attenzione del laborioso popolo arabo che tenne a bada gli argini del torrente, mentre in posizione più elevata si cominciarono a ripulire pezzi di terra poi recintati da muri a secco che danno luogo alle caratteristiche terrazze. Inizialmente gli Arabi provarono a coltivare la canna da zucchero, proprio per questo, molto probabilmente, gli orti vengono ancora chiamati, in dialetto, “cannavate”.

Tuttavia il ricordo della dominazione araba non risiede soltanto in questo toponimo ma in moltissimi altri ancora in uso che hanno a che fare con il linguaggio agricolo. Si pensi al termine “garrata” (in arabo Harrat) che vuol dire grossa pietra o macigno; si pensi a “gghiebbia” (in arabo jebiah), una grande vasca per l’accumulo delle acque piovane; saja e sajuni (in arabo saqia) sorgente o canalone scavato per mettere a dimora diverse specie di piante; “bufaria”, abbondanza di verdura, buona annata.

Lungo tutto il percorso della Fiumara sono anche da ricordare oltre venti mulini ad acqua per macinare il grano. Uno dei più importanti dal punto di vista storico e archeologico era quello del Salto accanto al quale l’archeologo Paolo Orsi individuò intorno al 1898 il ripostiglio del tesoro dei bronzi arcaici, in più antichi mai ritrovati nella Sicilia sud-orientale.

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